LUIGI ATTADEMO
Considerato come uno dei più importanti chitarristi della sua generazione, Luigi Attademo inizia la sua parabola artistica laurendosi terzo al “Concours International d’Exécution Musicale” di Ginevra del 1995. Dopo aver iniziato lo studio della chitarra con il M° Pino Racioppi a Laino Borgo (CS), si forma nella scuola del chitarrista-compositore Angelo Gilardino, e conta successivamente tra i suoi maestri Giovanni Guanti, Julius Kalmar, Alessandro Solbiati, Emilia Fadini. Ha registrato 15 CD, tra cui monografie dedicate alle Sonate di Domenico Scarlatti, a J. S. Bach, alle opere inedite dell’Archivio Segovia e ai Quintetti di Luigi Boccherini. Laureato in Filosofia con una tesi sull’interpretazione musicale, ha pubblicato diversi articoli di stampo musicologico ed estetico, collaborando con diverse riviste specializzate. Come musicologo, nell’ottobre del 2002 ha curato la catalogazione dei manoscritti di Andrés Segovia, (pubblicato sulla rivista La Roseta della Sociedad Española de la Guitarra) rinvenendo anche opere sconosciute di autori come Tansman, Pahissa, Cassadò e altri. Gran parte della sua attività discografica è dedicata a progetti monografici, tra cui la registrazione integrale delle Suites per liuto di Bach (Brilliant Classics, 2011) e l'integrale delle opere di Niccolò Paganini per chitarra sola per la prima volta suonate integralmente su una chitarra storica (Brilliant, 2013). Nel 2014 la rivista Amadeus gli ha dedicato un numero con la pubblicazione di un CD monografico su Fernando Sor. Tra i suoi progetti cameristici le collaborazioni in passato con il fisarmonicista Francesco Gesualdi, il violinista Cristiano Rossi, il Quartetto di Cremona e il Cuarteto Casals, il violoncellista Martti Rousi e i pianisti Roberto Prosseda e Orazio Sciortino, così come la realizzazione dell’opera da camera El Cimarron di H.W. Henze.
Da oltre dieci anni suona con il violista del Quartetto di Cremona, Simone Gramaglia, con il quale ha realizzato un disco dedicato a Paganini e un secondo - in uscita nel 2023 -dedicato a Franz Schubert.
Nel 2016 Ha tenuto a battesimo prima a Losanna e poi a Kiev un nuovo lavoro di Alessandro Solbiati, il Concerto per chitarra e quindici strumenti, a lui dedicato. Come solista e camerista ha suonato in tutte le più importanti capitali europee, e recentemente in paesi come India, Corea, USA.
Nel 2017 ha curato per il Museo del Violino di Cremona una esposizione dedicata al grande liutaio Antonio Torres, suonando in concerto diversi strumenti originali di questo autore.
Nel 2018 è seguito il CD “A Spanish portrait” (Brilliant Classics) dedicato alla musica spagnola e suonato su uno strumento originale di Torres, che ha ottenuto unanimi consensi da parte della critica (Disco del mese Amadeus), e per il quale la rivista italiana Seicorde gli ha dedicato la copertina.
E’ stato invitato come didatta in istituzioni quali la Royal Academy of Music di Londra, la Sibelius Academy di Helsinki, la Haute Ecole de Musique di Ginevra etc. Nel 2022 è stato invitato a partecipare come solista e giurato al Festival della Guitar Foundation of America, dove tornerà anche nel 2023. Alla fine del 2022 ha pubblicato il suo ultimo progetto discografico, dedicato a Bach e pubblicato dalla Brilliant Classics, a cui è seguito il volume di trascrizioni pubblicato da Casa Ricordi.
E’ attualmente titolare della cattedra di chitarra al Conservatorio “Bruno Maderna” di Cesena e della Scuola di Musica di Fiesole.
LUIGI ATTADEMO
e ANGELO GILARDINO
Ho conosciuto Angelo Gilardino come compositore quando ero molto giovane e ancora lontano dal ritenere che sarei diventato un musicista. Fu all’inizio degli anni Ottanta, quando Angelo si era dedicato ormai completamente alla composizione e aveva inaugurato il ciclo degli Studi di Virtuosità e di Trascendenza, che divennero poi un caposaldo della letteratura chitarristica contemporanea.
In quegli anni Marco de Santi e Luigi Biscaldi avevano cominciato a programmare l’esecuzione della prima serie degli Studi. Il mio Maestro di allora, Pino Racioppi, a cui devo l’avermi dato la possibilità di conoscere Angelo Gilardino, a circa 12 anni mi propose l’ascolto e lo studio di Elegia di Marzo, uno dei pezzi più noti tra gli Studi. Per me era musica completamente nuova, e non avevo strumenti e riferimenti perché mi potessi orientare in quell’ascolto. Semplicemente la trovai strana e lontana da quello che ero abituato ad ascoltare e suonare allora - l’autore più avanzato era forse Villa-Lobos - e quindi mi rimase in principio estranea.
Bastarono però un paio anni, e la conoscenza diretta di Angelo, per comprendere subito che dietro quella musica c’era un mondo importante da conoscere. Un autore degno di questo nome non può che esprimere la propria visione poetica in quello che scrive. Angelo Gilardino, quasi come ultimo romantico, non faceva infatti distinzione fra arte e vita. Scriveva musica ma il suo fare musica era anche filosofia, teologia, pittura.
Questa affermazione non dev’essere fraintesa. La sua era musica allo stato puro, suoni che emergevano dalla sua complessa interiorità per prendere vita in un discorso o come amava dire in una forma.
Ma come gli autori del periodo romantico, Gilardino non smetteva di essere un artista fuori dall’occuparsi di musica, e l’arte era costantemente in dialogo con la riflessione, con la trascendenza e con una visione estetica. L’amore per la pittura e per il colore era uno dei modi di ritrovare i suoi suoni in altra veste. Le sue riflessioni, anche filosofiche, erano il frutto non tanto di speculazione astratta quanto di mimesi dei processi creativi che lui ritrovava nei suoi autori preferiti (Proust per esempio), senza negarsi mai dei momenti di puro edonismo.
A dispetto dell’immagine che dava di sé, dettata per lo più dalla sua discrezione, riceveva dalla musica dei suoi autori preferiti come dalle opere pittoriche veri momenti di piacere estetico. La bellezza era tutto sommato il centro dei suoi interessi. Il rapporto prima con la musica poi con la pittura e con la poesia emerge dal continuo richiamo che ne fa negli Studi di virtuosità e trascendenza.
Nel mezzo di questo periodo creativo nasce il mio personale rapporto con la sua musica, che posso descrivere nei termini di una vocazione. Dopo un primo incontro cominciai a maturare l’interesse per musica diversa da quella che era convenzionalmente studiata nei programmi del Conservatorio. La musica di Angelo così ricca di riferimenti al passato, e all’arte, rappresentava l’ideale repertorio per capire meglio che cosa significasse essere musicista e incarnare una visione del mondo. Nel 1987 questa passione verso
quello che la sua musica rappresentava, fu suggellata da un regalo che ricevetti, la dedica dello studio “Trajes de Luces”.
Come negli Studi c’è un progressivo allontanarsi dalla scoperta dello strumento in senso idiomatico per elaborare sistemi di scrittura sempre più allusivi, così nelle Variazioni si assiste a una sintesi di questo processo, incentrato sui tre poli che rappresentano un po’ l’emblema della sua poetica musicale.
Se il trattamento del tema di Sor nelle Variazioni sulla follia, benché esposto alla fine, mantiene i crismi di una classicità dalla quale Angelo non si è mai veramente allontanato, la Musica per l’Angelo della Malinconia mette in campo quel trattamento libero della forma che caratterizzerà molto la musica successiva, fatta di reiterazioni di elementi primi, ossessivi, e momenti di canto che di fatto sono preghiera.
L’ultimo ciclo, sulla Fortuna, è il più oscuro, perché in qualche modo si confronta con il tema del Destino. Ma lungi da essere puramente speculativo, troviamo ancora in questa musica a fianco a momenti metafisici, un gesto compositivo pieno di passione, che mi ricorda la frase del pittore Francis Bacon - ammirato enormemente da Angelo - che si definiva “un ottimista, ma un ottimista verso il nulla”.
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Luigi Attademo.
Nel periodo della composizione degli Studi si intersecarono la composizione delle due Sonate e successivamente dei tre cicli di Variazioni che chiudono il suo primo periodo.
Che cosa c’era in questa musica? Non è facile rispondere e non è insensato dire “tutto”.
Come capita nella musica di Beethoven - nello stesso anno scopriamo opere di carattere così diverso come la Sonata op. 26 e le due Sonate dell’op. 27 - così ascoltiamo le sue due Sonate composte a distanza di poco tempo, che ci offrono due mondi sonori diversi e per certi aspetti contrastanti. Nella seconda Sonata, “Hiver florit”, c’è l’incanto, e prevale una tensione verso la pace e la contemplazione. Nella prima Sonata c’è una costruzione più severa, in ossequio al culto della forma, dove una visione più oscura pervade l’opera non senza momenti di lirismo, come nel secondo straordinario movimento.
Ma appunto, il lirismo è sofferto, frutto di lacerazione, di un’esistenza piena di verità dolorose. Come si accennava, non c’è separazione tra vita e arte in Gilardino, e infatti la vita che l’autore ha vissuto racconta di una costante lotta tra “l’apparir del vero” e la ricerca di possibili “uscite dal mondo”, sia esse incarnate dalla bellezza di una persona, da un luogo, da una musica, da un quadro, o immaginate nella promessa di un altrove dopo la vita terrena, giusta ricompensa per il compito svolto, come avviene per il Maestro del romanzo di Bulgakov.
Oltre a questa duplice natura della sua musica, c’è però anche un’evoluzione che si osserva nei cinque libri degli Studi, e subito dopo nell’approdo ai tre cicli di Variazioni, dai titoli non a caso emblematici: Follia, Melanconia, Fortuna.